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L’altopiano del Carso triestino e la Val Rosandra

a cura di Franco Cucchi, Manuela Montagnari Kokelj, Luca Zini

Introduzione al percorso

L’altopiano, che si apre fra il Monte Ermada a Ovest e il Monte Cocusso ad Est, è caratterizzato dall’affioramento di rocce carbonatiche di età dal Cretaceo superiore, i Calcari a Rudiste, al Paleocene, i Calcari liburnici e in particolare i Calcari ad Alveoline e Nummuliti (Fig. 9). Le quote vanno dai circa 100 m dell’area di Sistiana-Visogliano, a Nordovest, ai circa 350 m dell’area di Basovizza, a Sudest. Il Carso è interessato da diverse centinaia di doline di tutte le tipologie e dimensioni ed ospita gli ingressi di quasi 2500 cavità. Di queste, più della metà sono cavità prevalentemente verticali, ma qualche centinaio sono le cavità a galleria di dimensioni significative aperte in superficie. Infatti, i calcari cretacici, e in parte quelli paleocenici, sono altamente carsificabili, ed essendo esposti agli agenti atmosferici da almeno una decina di milioni di anni, sono interessati da un carsismo ipogeo e superficiale molto evoluto, tanto che si può parlare di un “carsismo maturo”.

Alcuni caratteri dell’altopiano, nonostante le forte pressione antropica che sta oggi subendo, sono invariati da tempi lunghissimi ed hanno verosimilmente rappresentato elementi di forte attrazione per i gruppi umani che hanno iniziato a frequentare questo territorio circa 500.000 anni fa. Fra questi caratteri, in particolare, l’alto numero di grotte accessibili e funzionali a usi diversi, innanzitutto come rifugio, e di doline, in parte coltivabili e comunque adatte a radunarvi il bestiame; la presenza di alture da cui dominare le aree circostanti; la vicinanza di acque dolci e del mare, che permette la pesca e la raccolta di molluschi e forse fin dalla Preistoria recente anche quella del sale, che poteva formarsi naturalmente in periodi dell’anno particolarmente favorevoli grazie a temperature da miti a elevate, sole e vento. Non a caso, molte aree costiere saranno trasformate in saline in epoca storica e resteranno in uso fino a tempi piuttosto recenti.

Se i caratteri geomorfologici e ambientali hanno avuto un ruolo nelle scelte insediative in antico, le indagini speleologiche e archeologiche che ave- vano preso avvio nella seconda metà del XIX secolo e sono proseguite per oltre 150 anni, hanno determinato la nostra attuale conoscenza sui tempi e i luoghi di quelle scelte: nel solo settore italiano-Carso monfalconese-goriziano, Carso triestino e Val Rosandra le cavità e i ripari sotto roccia con evidenze archeologiche e paleontologiche sono oltre 180.


Gli itinerari

Carso 1: Aurisina e dintorni

Il primo itinerario propone una visita agli ingressi di una decina di cavità (da Nordovest verso Sudest): 1 - Grotta del Dio Mithra/ Mitreo; 2 - Riparo di Visogliano/Riparo dei Micromammiferi; 3 - Grotta del Pettirosso; 4 - Caverna Pocala; 5 - Grotta a N di S. Croce; 6 - Grotta Gialla; 7 - Grotta Azzurra; 8 - Grotta dell’Orso; 9 - Grotta della Tartaruga; 10 - Grotta Gigante. L’Itinerario Carso 1 è quello più Nord-orientale e si sviluppa fra le poche case di San Giovanni di Duino a Nordovest e Borgo Grotta Gigante a Sudest, al centro dell’altopiano compreso fra i modesti rilievi del Ciglione carsico verso mare e quelli collinari che marcano il confine fra Italia e Slovenia. Ci si può spostare in buona parte con l’automezzo, che comunque va spesso lasciato per brevi percorsi su carrarecce e sentieri pianeggianti in genere ben segnati. Tutte le cavità si aprono nei Calcari di Aurisina (17c nella Carta geologica), l’assetto strutturale è quello del fianco meridionale dell’Anticlinale del Carso, la giacitura è circa NO-SE blandamente inclinata 131 verso SO (verso il Golfo di Trieste). La morfologia, come accennato, è pianeggiante ma decisamente movimentata da doline di varie dimensioni, spesso contornate da piccoli campi solcati che si aprono nella boscaglia carsica.

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1 - Grotta del Dio Mithra o Mitreo

1255/4204 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,7842836; Long. 13,59791334 Quota ingresso: 46 m slm; Sviluppo planimetrico: 21 m; Dislivello: -5,5 m. - Vedi scheda catastale

La grotta (Fig. 132) si trova in una piccola dolina dalle pareti scoscese, 50 m a monte del Raccordo Autostradale RA13 - S.S. 202, all’altezza del cimitero di Duino e di San Giovanni di Duino.
Fu scoperta nel 1963, allora ingombra di pietrame di grosse dimensioni che in qualche punto giungeva a toccare la volta. È un esempio importante di luogo di culto ipogeo dedicato al Dio Mithra, divinità di ori- gini orientali entrata nel pantheon romano e venerata fra I e V sec. d.C. Ricostruzioni delle originarie strut- ture di culto si trovano in situ, mentre alcuni mate- riali sono esposti al Museo Scientifico Speleologico della Grotta Gigante (www.grottagigante.it/museo/) e al Civico Museo d’Antichità J.J. Winckelmann di Trieste (https://museoantichitawinckelmann.it/ visita/antiche-tracce/).

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132 > L’interno della Grotta del Mitreo

2 - Riparo dei Micromammiferi o di Visogliano

3575/5144 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,77002936; Long. 13,64970189 Quota ingresso: 105 m slm; Sviluppo planimetrico: 8 m; Dislivello: -8,5 m. - Vedi scheda catastale

Il riparo sottoroccia (Fig. 133) è situato in prossimità dell’abitato di Visogliano, sul fianco meridionale di una dolina. Per l’antichità dei reperti paletnologici - databili fra 500.000 e 350.000 anni fa - è forse la più importante stazione preistorica della Regione ed è tutelata. Una recinzione in rete metallica preclude l’accesso alla zona di scavo.

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133 > Il Riparo di Visogliano

3 - Grotta del Pettirosso

148/260 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,75845735; Long. 13,67072193 Quota ingresso: 121 m slm; Sviluppo planimetrico: 19 m; Dislivello: -1 m. - Vedi scheda catastale

Pochi metri ad Ovest della Caverna Pocala, dall’altra parte del Raccordo Autostradale RA13 - S.S. 202 (un sottopasso è verso Sistiana, altrimenti sentieri da Aurisina), sul fianco orientale di una dolina di crollo (Aisa Dol per i locali), si apre questa pic- cola cavità (Fig. 134), quasi un riparo sotto roccia in parte antropizzato dalla scarpata del raccordo. Questa cavità è una delle tre - le altre due sono la Caverna a N di S. Croce e la Caverna Moser / Jama na Dolech - cui L.K. Moser dedicò il massi- mo impegno nei suoi 30 anni di indagini in grotta. Qui fece scavi sistematici (220 giorni in totale) fra maggio 1892 e luglio 1898, mentre in anni sia precedenti sia successivi vi effettuò solo alcune visite e sondaggi.
Fatta eccezione per pochi reperti di età romana, la maggior parte dei materiali è databile fra Neolitico
ed età del bronzo. Alcuni tipi di vasi, fra cui due coppe su piede riccamente decorate, e alcuni manufatti litici, in particolare due asce forate in pietra levigata, sono di particolare importanza per la ricostruzione delle connessioni di media-lunga distanza fra il Carso e l’area centro-europea e balcanica nell’età del rame, fra IV e III millennio a.C., una ricostruzione resa possibile anche dall’applicazione di analisi archeometriche avanzate. I reperti sono conservati in almeno tre sedi diverse: Naturhistorisches Museum di Vienna, Museo Civico di Storia Naturale di Trieste e Notranjski Muzej di Postojna.

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134 > La Grotta del Pettirosso

4 - Caverna Pocala

173/91 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,75870738; Long. 13,67348061 Quota ingresso: 135 m slm; Sviluppo planimetrico: 137 m; Dislivello: -33,5 m. - Vedi scheda catastale

Dall’abitato di Aurisina, settore Est, si sottopassa il collegamento autostradale, si gira a sinistra verso Nordovest costeggiando la statale, si sottopassa il viadotto ferroviario seguendo il sentiero e prendendo verso Nord. Si raggiunge così la depressione in cui l’ingresso (Fig. 135) si apre in una dolina allungata, residuo di una grotta scoperchiata (roofless cave) come messo in luce da concrezioni presenti sulle pareti. La cavità consta di un’unica galleria inclinata larga da 20 a 40 m, dal fondo accidentato in depositi di riempimento e di crollo in parte rimaneggiati, su cui sorgono alcune concrezioni. La caverna è uno dei più interessanti siti paleontologi della regione in cui sono stati rinvenuti resti di animali pleistocenici. Esplorata già nel 1893, dal 1903 divenne famosa per il numero di reperti di Ursus speleus scoperti nelle campagne di scavo. Nel 1998 nuovi scavi hanno raggiunto strati non rimaneggiati trovando anche ossa di altri animali quali il leone delle caverne (Panthera spelaea), caprini (Capra hircus vel Ovis aries), bovini (Bos taurus), lupi (Canis lupus) e cervi (Cervus elaphus). Oltre ai resti di animali, nella cavità sono stati rinvenuti manufatti in selce musteriani. I reperti sono esposti al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste (https://museostorianaturaletrieste.it/visita/ il-quaternario/).

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135 > L’ingresso della Caverna Pocala

5 - Caverna a Nord di Santa Croce, Siršca Jama

460/859 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,7479324; Long. 13,69491122 Quota ingresso: 160 m slm; Sviluppo planimetrico: 24 m; Dislivello: -5,5 m. - Vedi scheda catastale

Questa piccola cavità (Fig. 136), quasi un riparo sotto roccia, si apre al bordo meridionale di una dolina di probabile crollo, poco ad Est del Tennis Club di Aurisina, presso la linea ferroviaria. Profondamente antropizzata durante la Grande Guerra, nel pavimento terroso detritico affiorano resti ossei inclassificabili. Per una ventina d’anni, fra 1893 e 1913, L.K. Mo- ser avrebbe condotto in questa cavità sondaggi ripetuti ma discontinui, fatta eccezione per gli scavi dell’estate 1895, in parte finanziati dalla Commissione Centrale per i Monumenti di Vienna. I materiali, forse conservati a Vienna o dispersi, sarebbero databili fra Neolitico e inizi dell’età del bronzo.

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136 > La prima sala della Caverna a Nord di Santa Croce / Siršca Jama

6 - Grotta Gialla

467/932 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,75628205; Long. 13,70163292 Quota ingresso: 240 m slm; Sviluppo planimetrico: 58 m; Dislivello: -17 m. - Vedi scheda catastale

Si apre poco a Nord della Grotta Azzurra, ma è più semplice raggiungerla dalla carrareccia, in sinistra della S.P. n. 6 di Comeno poco prima delle case di Baita / Bajta, che lascia sulla sinistra un piazzale adi- bito a discarica e si addentra verso Aurisina. Poco prima dell’oleodotto si prende un sentiero a destra. La cavità si apre al termine di una vallecola, una probabile grotta scoperchiata (Fig. 137), e consiste in una galleria a sezione triangolare strutturata sulla stratificazione e su una frattura NE-SO. Il pavimento è detritico-terroso misto a materiale di riporto.
Gli scavi principali in questa cavità furono effettuati fra 1954 e 1962 da Benno Benussi (socio della Commissione Grotte Eugenio Boegan della SAG), con non poche difficoltà dovute alle conseguenze dei complessi processi formativi del deposito sulle condizioni di giacitura dei materiali. Benussi trovò scarsa ceramica romana - ma anche 7 monete: altre 90 circa furono recuperate nel 1993 dall’Associa- zione Alpina Slovena - e altomedievale, poco più numerosa ceramica protostorica e preistorica, e manufatti litici identificati come mesolitici solo dopo la prima scoperta di questo periodo nella Grotta Azzurra. Questi dati furono interpretati in termini di frequentazioni occasionali, piuttosto che di uso continuativo della cavità, e la recente revisione dei materiali conservati nella locale Soprintendenza archeologica conferma questa ipotesi.

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137 > L’ingresso della Grotta Gialla, al termine di una roofless cave

7 - Grotta Azzurra

34/257 VG, Duino Aurisina / Devin Nabrežina WGS84: Lat. 45,75288417; Long. 13,70508013 Quota ingresso: 252 m slm; Sviluppo planimetrico: 235 m; Dislivello: -45,8 m. - Vedi scheda catastale

Provenendo da Gabrovizza, la cavità si raggiunge prendendo a sinistra della S.P. n. 6 di Comeno una stradina, poi carrareccia, fra le due deviazioni verso Samatorza. Oltrepassato l’oleodotto, si volta a destra e in breve, fra due modesti rilievi, si apre l’ampio ingresso (Fig. 138). L’area antistante la cavità 135 e la cavità sono state profondamente antropizzate da adattamenti bellici austriaci durante la Grande Guerra. Si apre nei Calcari di Aurisina (Sesana Fm.), in bancate a giacitura NO-SE ed immersione di 20°-30° verso SO. È una bassa galleria a direzione dapprima Est, poi Nord, dal pavimento terroso detritico molto rimaneggiato. Negli anni 1890 la grotta fu visitata da L.K. Moser e scavata da C. Marchesetti, ma le indagini più famose sono quelle degli anni 1961-63 in cui fu indi- viduata per la prima volta nel Carso la presenza di livelli di frequentazione risalenti al Mesolitico. I materiali provenienti dagli scavi di Marchesetti e altri da scavi successivi sono esposti al Civico Museo d’Antichità J.J. Winckelmann (https://museo- antichitawinckelmann.it/visita/antiche-tracce/).

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138 > Il fianco orientale della dolina di crollo dove si apre l’ampio ingresso della Grotta Azzurra

8 - Grotta dell’Orso di Gabrovizza

33/7 VG, Sgonico / Zgonik WGS84: Lat. 45,73264162; Long. 13,72590614 Quota ingresso: 211 m slm; Sviluppo planimetrico: 175 m; Dislivello: -39 m. - Vedi scheda catastale

Questa cavità si raggiunge prendendo una carrarec- cia aperta sulla sinistra della S.P. n. 6 di Comeno poco dopo Gabrovizza e il sovrappasso della ferrovia. Si apre sul fianco di una dolina di probabile crollo e consta di un’ampia galleria dal pavimento terroso detritico che procede con brusche svolte ad angolo retto (Fig. 140). Il concrezionamento è praticamente assente, limitato a poche stalattiti impostate sulle rade fratture beanti del soffitto.
La Grotta dell’Orso fu fra le prime ad attirare l’attenzione dei due studiosi cui si deve la nascita dell’archeologia nel Litorale austriaco, regione amministrativa dell’Impero, a fine ’800. L.K. Moser la visitò nel 1879 e più volte nel decennio successivo, raccogliendo abbondanti resti di Ursus spelaeus e di altre faune würmiane nella parte interna della ca- vità, che anche C. Marchesetti indagò nel 1884 con analoghi risultati. In seguito, Marchesetti scavò nel vestibolo dove trovò tracce di frequentazione probabilmente discontinua ma ripetuta dal Neolitico sicuramente (forse anche nel Mesolitico) all’età del ferro, episodica in epoca storica. I dati pubblicati dallo studioso fanno pensare che la grotta sia stata usata anche da gruppi di pastori con le loro greggi di capre e pecore.
I resti di fauna, sia del Pleistocene che dell’Oloce- ne, provenienti dagli scavi di Marchesetti sono conservati al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste (https://museostorianaturaletrieste.it/il-museo/). I manufatti (vasi e strumenti in pietra e in osso) sono invece conservati, e in parte esposti, al Civico Museo d’Antichità J.J. Winckelmann (https://muse- oantichitawinckelmann.it/).

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139 > La sala dedicata all’orso delle caverne nel Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
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140 > L’ingresso della Grotta dell’Orso

9 - Grotta della Tartaruga

1688/4530 VG, Sgonico / Zgonik WGS84: Lat. 45,70850317; Long. 13,76139838 Quota ingresso: 260 m slm; Sviluppo planimetrico: 38 m; Dislivello: -8,5 m. - Vedi scheda catastale

Questa piccola cavità si raggiunge percorrendo una carrareccia parallela alla linea ferroviaria a Ovest di Borgo Grotta Gigante. L’ingresso, messo in luce dagli scavi iniziati nel 1962 e proseguiti fino al 1967, è al termine di una cavità scoperchiata (Fig. 141). L’abbassamento della superfice di scavo portò all’apertura, in direzione Est, di alcune cavernette in cui sono presenti piccole concrezione sul soffitto, alcune grandi colonne ed una vaschetta di circa 20 cm di diametro (Fig. 142). Gli scavi misero in luce livelli di frequentazione dal Mesolitico all’età del bronzo. Questa è una delle poche grotte in cui risultano documentate sia la fase antica sia quella recente del Mesolitico e il passaggio al successivo Neolitico. In quest’ultimo livello furono trovati abbondanti resti di vasi, numerosi strumenti e manufatti non ritoccati in selce, due lame d’ascia e due asce-scalpello in pietra levigata.
Alcuni dei materiali sono esposti al Museo Scientifico Speleologico della Grotta Gigante (www.grot- tagigante.it/museo/)

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141 > L’ingresso della Grotta della Tartaruga
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142 > Grotta della Tartaruga: vaschetta su stalagmite

10 - Grotta Gigante

2/2 VG, Sgonico / Zgonik WGS84: Lat. 45,70988008; Long. 13,76456679 Quota ingresso: 275 m; Sviluppo planimetrico: 719 m; Dislivello: -252 m. - Vedi scheda catastale

La famosa cavità turistica di Borgo Grotta Gigan- te si raggiunge facilmente seguendo le indicazioni stradali. Vi si accede da un ingresso in parte artificiale e se ne esce da una ampia galleria. Si compone di un’ampissima sala ed alcune gallerie facilmente percorribili e ben illuminate (Fig. 143). Dopo che A.F. Lindner raggiunse il fondo della cavità nel 1840, la grotta fu esplorata completamente. In merito A. Perko (1897) scrisse: “Interessantissime furono le scoperte... Nelle nicchie e fra i mas- si rocciosi trovammo dei cocci preistorici di rozzo materiale, benissimo conservati; alcuni assaggi nella parte più profonda della caverna diedero per risultato dei bei strati di cenere, nei quali trovammo cocci, utensili di quarzo, conchiglie, ossa abbruciate. Inoltre si rinvennero dei denti di Ursus spelaeus... ed un dente umano... [e] pure alcune monete romane...”. Nel 1958, sul fondo della grotta furono scoperti resti molto frammentari forse appartenenti a due individui, mentre pochi anni dopo gli scavi nella caverna superiore (l’attuale uscita) misero in luce materiali databili fra Neolitico e inizi dell’età del bronzo, fra cui un esemplare di Brotlaibidol, tavoletta enigmatica in terracotta con incisioni. Il Brotlaibidol e alcuni altri reperti sono esposti nel Museo Scientifico Speleologico allestito negli spazi antistanti l’ingresso (www.grottagigante.it/museo/)

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143 > L’interno della Grotta Gigante
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144 > Il Museo Scientifico Speleologico della Grotta Gigante

Carso 2: da Percedol a Bagnoli della Rosandra

L’Itinerario Carso 2 propone una visita agli ingressi di 8 cavità (da NO verso SE): 1 - Riparo di Monrupino; 2 - Grotta dei Ciclami; 3 - Caverna delle Tre Querce; 4 - Grotta Nera/Caverna di Basovizza; 5 - Cavernetta della Trincea; 6 - Grotta delle Gallerie/Grotta delle Finestre; 7 - Grotta del Tasso/Caverna del Turco; 8 - Antro di Bagnoli. Si prevede di visionare tre cavità nei dintorni del Valico Italia-Slovenia di Fernetti e cinque cavità nell’area fra Basovizza e Bagnoli della Rosandra, passando dalle quote 320-380 m slm dell’Altopiano del Carso alle quote 80-60 m slm della profonda valle fluviocarsica percorsa dal Torrente Rosandra e delle sorgenti di Bagnoli. Da Fernetti a Basovizza ci si sposta in macchina, le cavità si raggiungono a piedi su percorsi pianeggianti. Scendere dall’altopiano alle sorgenti di Bagnoli è una piacevole gita alla conoscenza di un geosito unico in Italia; risalire però è faticoso. Organizzandosi si possono lasciare i mezzi uno alla base, uno a San Lorenzo. Le prime cavità si aprono nei Calcari di Aurisina 139 che hanno l’assetto strutturale tipico dell’Altopiano. Le altre si aprono nei calcari paleocenici ad Alveoline e Nummuliti, condizionati da un assetto strutturale complesso: una successione di pieghe e scaglie tettoniche generate dai rigidi calcari di piattaforma che sovrascorrono sulle Marne transizionali eoceniche e sulle argille torbiditiche del Flysch (19b nella Carta geologica; Fig. 9) e che conferiscono ai versanti della Val Rosandra una morfologia epigea ed ipogea decisamente particolare.

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1 - Riparo di Monrupino o di Percedol

3917/5210 VG, Monrupino / Repentabor WGS84: Lat. 45,70618581; Long. 13,80924607 Quota ingresso: 301 m slm; Sviluppo planimetrico: 3,2 m; Dislivello: 2,5 m. - Vedi scheda catastale

Circa 200 m a Est della Conca di Percedol, si tro- vano due doline allungate NNE-SSO profonde una ventina di metri: al piede della parete orientale della dolina più a Sud, si trova un riparo sotto roccia di notevole importanza archeologica (Fig. 145).
Nel corso dei primi scavi in questo riparo, effettua- ti nel 1973-74 dal Centro di Studi Carsici, furono rinvenuti materiali databili al Mesolitico e al Ne- olitico in giacitura secondaria, oltre a frammenti di ceramica grezza di epoca storica. Le indagini proseguirono fino al 1976 con il supporto della Soprintendenza Archeologica regionale: fra i numerosi materiali inquadrabili grossomodo fra Neolitico ed età del bronzo, particolare interesse rivestono un frammento di manico di rhyton, o vaso a quattro gambe, una lamella di ossidiana e due lame d’ascia in pietra levigata, verosimilmente tutti di produzione non locale. In un livello costituito da pietre di crollo e scarsa argilla rossastra fu trovata anche una falange umana.

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145 > Il Riparo di Monrupino

2 - Caverna dei Ciclami

501/2433 VG, Monrupino / Repentabor WGS84: Lat. 45,70746769; Long. 45,70746769 Quota ingresso: 328 m slm; Sviluppo planimetrico: 59 m; Dislivello: 15 m. - Vedi scheda catastale

Si abbandona la S.P. fra Monrupino e Fernetti a 1 km circa dal ponte sulla ferrovia per prendere una carrareccia in direzione Percedol: la cavità si apre sulla destra, a un centinaio di metri, con un portale (Fig. 146) che dà accesso a una galleria da suborizzontale a poco inclinata verso Ovest, dal pavimento terroso detritico di un’ottantina di metri. La caverna si apre nei Calcari di Aurisina, al piede del Monte Orsario, sul bordo settentrionale della parte depressa dell’altopiano interessata da numerose doline di piccole e medie dimensioni. In superficie gli affioramenti contendono gli spazi ad un poco potente suolo terroso detritico. I campi solcati, le testate di strato, i blocchi isolati, sono sparsi nella boscaglia.
Gli scavi effettuati fra 1959 e 1965 da F. Legnani e F. Stradi (Sezione scavi e studi di Preistoria carsica “Raffaello Battaglia” della CGEB-CAI TS) documentarono una lunga frequentazione umana, anche se talora discontinua, dal Mesolitico all’età del ferro. Particolarmente ricchi risultarono i livelli di frequentazione databili dal Neolitico agli inizi dell’età del bronzo, con non pochi vasi esotici, di produzione non locale, che, stando ai risultati di analisi tipologico-comparative e archeometriche, testimonierebbero connessioni di medio-lungo rag- gio con regioni danubiano-balcaniche e adriatiche fra VI e III millennio a. C. (materiali esposti al Museo Scientifico Speleologico della Grotta Gigante). Legnani pubblicò nel 1967 uno studio paleoclimatologico del riempimento, basato su analisi granulometriche, chimiche e polliniche che non avevano precedenti in area carsica e, un anno dopo, la Piccola Guida della preistoria di Trieste, lavoro largamente basato sui dati di questa grotta con ipotesi ricostruttive ancora valide.

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146 > L’ingresso della Caverna dei Ciclami

3 - Caverna delle Tre Querce

481/1102 VG, Monrupino / Repentabor WGS84: Lat. 45,7026427015; Long. 13,8208503326 Quota ingresso: 308 m slm; Sviluppo planimetrico: 15 m; Dislivello: 2,5 m. - Vedi scheda catastale

Appena superato il viadotto della strada Fernetti-Monrupino, si imbocca la carrareccia sulla sinistra, si procede lungo il sentiero verso Ovest per circa 1000 m finché si giunge ad una dolina di medie dimensioni sul cui fondo si apre questa cavernetta (Fig. 147). Il pavimento all’incirca quadrangolare, ampio circa 120 m2, è sconvolto dai numerosi assaggi e trincee scavati nel tempo. Agli inizi del ’900 risultano documentati nella grot- ta interventi di L.K. Moser (1903), del Club dei Touristi Triestini (1904) e di E. Neumann (1908). In merito agli scavi del 1904 A. Perko, socio del CTT, scrisse: “Il terreno argilloso, di ben 2 metri di spessore, fu da noi rovistato per molti m2 ma purtroppo senza alcun risultato. Furono trovati solamente pochi e semplici cocci di vasellame e qualche pezzo d’osso, Questo fatto dimostra ad evidenza che la caverna non fu che una dimora passeggiera, giacchè in caso contrario indubbiamente si avrebbe do- vuto fare un maggior bottino di avanzi preistorici entro i bei strati di cenere sormontatisi l’un l’altro che ne coprivano il fondo”. Fra il 1960 e il 1968 altri scavi furono fatti dal Gruppo Speleologico San Giusto: i materiali rinvenuti (finora non sottoposti a revisione sistematica) sarebbero databili fra Neolitico e inizi dell’età del ferro. Scarse ossa umane, un molare ed una costola, sarebbero state trovate in giacitura secondaria.

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147 > L’ingresso della Caverna delle Tre Querce

4 - Grotta Nera o Caverna di Basovizza o Caverna delle Selci o Caverna dei Lebbrosi, Pecina nad Borstom

43/140 VG, Trieste WGS84: Lat. 45,63038246; Long. 13,8514661 Quota ingresso: 390 m slm; Sviluppo planimetrico: 69 m; Dislivello: -36 m. - Vedi scheda catastale

In origine era chiamata “Grotta dei Lebbrosi”, perché una mai dimostrata credenza narrava che vi fossero rinchiusi i malati lebbrosi, a cui i viveri venivano calati dal camino che si apre sulla volta (Fig. 149). Dopo il 1945 la grotta fu utilizzata dal “Gruppo rastrellatori bombe e mine” per farvi esplodere materiali bellici di vario tipo rinvenuti sul Carso Triestino. Le esplosioni devastarono il suolo e parte della volta annerendo le pareti di fondo e provocando il crollo del diaframma che occludeva il passaggio che dà accesso alla seconda caverna. A seguito dell’annerimento alle pareti provocato dagli esplosivi la cavità venne denominata “Grotta Nera”. Dalla Foiba di Basovizza si imbocca un sentiero segnalato che porta all’ingresso della cavità, ove sono state ricostruite quattro stazioni che riproducono momenti di vita di epoche diverse: Paleolitico Inferiore, Paleolitico Medio, Mesolitico e Neolitico. In ognuna di queste stazioni sono esposte riproduzioni di oggetti d’uso tipici, realizzate con i metodi dell’archeologia sperimentale e con rigore scientifico (info@gssg.it; https://www.gssg.it/grotta-nera/). I rinvenimenti archeologici di cui si ha notizia sono molto scarsi: pochi manufatti ceramici e litici attribuiti al Neolitico (L.K. Moser, 1891), scarsi manu- fatti litici e resti di fauna non datati (R. Battaglia, 1913), un coltellino in selce (Società triestina speleologica, 1943).

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148 > La stazione “Paleolitico medio” ricostruita nella Grotta Nera.
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149 > L’ingresso della Grotta Nera

5 - Cavernetta della Trincea

492/1265 VG, San Dorligo della Valle / Dolina WGS84: Lat. 45,6279262; Long. 13,86421066 Quota ingresso: 368 m slm; Sviluppo planimetrico: 9 m; Dislivello: +3,5 m. - Vedi scheda catastale

La cavità si apre al piede del costone roccioso noto come “Parete delle Rose d’Inverno” e si raggiunge dal sentiero CAI “Alice” (Fig. 151). Il nome deriva da una trincea scavata davanti all’imbocco, ora completamente colmata.
Si apre nei Calcari ad Alveoline e Nummuliti, è impostata su una frattura NNO-SSE, ha il pavimento argilloso detritico, termina occlusa da una colata calcitica e dall’abbassamento della volta.
È possibile che la cavità fosse stata visitata già da L.K. Moser nell’ultimo decennio dell’800 e che R. Battaglia vi avesse effettuato alcuni saggi di scavo prima del 1926. Furono però le indagini di F. Stradi nel 1954 e della CGEB-CAI TS nei primi anni ’60 a portare alla luce oltre 500 manufatti in selce attribuiti alla fase recente del Mesolitico solo dopo il riconoscimento di questo periodo nel Carso avvenuto con gli scavi nella Grotta Azzurra negli anni 1961-63. L’abbondante presenza di nuclei e di scarti di lavorazione ha fatto pensare ad un probabile uso della grotta come officina litica.

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151 > L’ingresso della Cavernetta della Trincea
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150 > La sala sulle grotte preistoriche del Carso al Museo Archeologico “J.J. Winkelmann” di Trieste

6 - Grotta delle Gallerie o delle Finestre

290/420 VG, San Dorligo della Valle / Dolina WGS84: Lat. 45,61794713; Long. 13,88323459 Quota ingresso: 345 m slm; Sviluppo planimetrico: 209 m; Dislivello: 16 m. - Vedi scheda catastale

Sul versante settentrionale della Val Rosandra, in quota rispetto alle case di Bottazzo, raggiungibili dal sentiero CAI “Alice” e dal tracciato della ferrovia, si aprono alcune cavità che oggi fanno parte del Complesso del Monte Stena, tra le quali la più nota è la Grotta delle Gallerie (Fig. 152) che ha tre ingressi, uno ampio, gli altri due splendide finestre sulla sottostante Valle. Tutte le cavità si sviluppano nei Calcari ad Alveoline e Nummuliti. La Grotta delle Gallerie è una delle cavità più interessanti per la ricostruzione della frequentazione del Carso triestino nella Preistoria e nella Protostoria, in particolare fra Neolitico ed età del rame. Una ricostruzione resa difficile, però, dal numero alto di indagini che vi sono state fatte - da archeologi professionisti, speleologi, semplici appassionati - dalla fine dell’800 (le prime quelle del 1890 di C. Mar- chesetti) per oltre un secolo (le ultime documentate, quelle del 1994 c. dell’Associazione, XXX Ottobre - GRPU Gruppo Ricerche di Paleontologia Umana). Alcuni dei materiali rinvenuti - un esempio fra tutti, le pintadere, manufatti in terracotta di piccole dimensioni con motivi geometrici e curvilinei incisi (la cui interpretazione è tuttora discussa: potrebbero essere stati usati come stampi per decorare il cor- po, o tessuti, o altro), presenti nei Balcani e in Italia centro settentrionale, ma qui solo anche nella Grotta Fioravante, in esemplare unico diverso dai sei delle Gallerie - fanno pensare che la grotta, verosimilmente per la sua posizione strategica nella Val Rosandra, non lontana dal mare, abbia avuto comunque una storia in parte diversa da quella del resto del Carso. Alcuni dei materiali sono esposti al Museo d’Anti- chità J.J. Winckelmann di Trieste.

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152 > L’interno della Grotta delle Gallerie

7 - Grotta del Tasso o Caverna in Val Rosandra o Caverna del Turco

292/425 VG, San Dorligo della Valle / Dolina WGS84: Lat. 45,61654; Long. 13,88543 Quota ingresso: 280 m slm; Sviluppo planimetrico: 9 m: Dislivello: 0 m. - Vedi scheda catastale

In quota sopra le case di Bottazzo, al piede di una scarpatina alla sommità della quale passa la strada per Bottazzo, si apre questa breve galleria impostata su una frattura N-S, il cui soffitto si approfondisce rapidamente (Fig. 153). Nel 1886 Moser vi effettuò una visita, apparentemente senza alcun rinvenimento, ma scrisse che frammenti di vasi e resti di 2 scheletri furono consegnati al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste. Tuttavia, gli scarsi frammenti ceramici e i resti di fauna tuttora conservati dovrebbero provenire da una ricognizione fatta nel 1913 dall’allora direttore Marchesetti. Nello stesso anno anche Battaglia visitò la grotta rinvenendo i resti incompleti di uno scheletro non più in connessione anatomica, di cui scrisse: “Codeste ossa si trovarono verso il fondo della caverna; mescolate ad esse si rinvennero tre coltellini di selce, una cuspide amigdaloide di giavellotto, un pezzo piramidale, pure di selce ed un lisciatoio di granito. Il prodotto della ceramica si riduce soltanto ai resti di tre vasi, tutti di pasta grossolana...” (Battaglia & Cossiansich, 1915: 35). In base a questi elementi Battaglia ipotizzò che la grotta fosse stata usata come luogo di sepoltura di un capo, o comunque di un membro importante di una comunità che avrebbe abitato la vicina Grotta delle Gallerie.

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153 > L’ingresso della Caverna del Tasso

8 - Antro di Bagnoli, Jama

76/105 VG, San Dorligo della Valle / Dolina WGS84: Lat. 45,61250866; Long. 13,8597763 Quota ingresso: 62 m slm; Sviluppo planimetrico: 145 m (+ 300 m non mappati); Dislivello: -52 m. - Vedi scheda catastale

Dalla piazza di Bagnoli si supera su ponte il Torrente Rosandra e si raggiunge l’ex lavatoio, alimentato dalla sorgente che fuoriesce dall’antro. La risorgiva, frattura appena allargata che si addentra in direzione SE nel Monte Carso del cui acquifero è sorgente, è condizionata dalla piega a ginocchio che verticalizza i calcari che favoriscono il drenaggio preferenziale, mentre le marne e le arenarie del Flysch fungono da livello impermeabile (Fig. 154). Nel 1963 in seguito ad un nubifragio che provocò la piena del Torrente Rosandra furono recuperate molte monete: quelle consegnate alla locale Soprintendenza, una trentina di assi di bronzo, sono databili fra gli inizi del I sec. a.C. e il primo quarto del II sec. d.C., e potrebbero costituire un elemento di datazione dell’acquedotto che attraversava la zona di Bagnoli in età romana. La tipologia della grotta - cavità con risorgiva - e la presenza delle monete potrebbero far pensare ad un luogo di culto, oltre che di raccolta/approvvigionamento dell’acqua.

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154 > L’Antro di Bagnoli