Note storiche
La consultazione on-line dei dati del Catasto speleologico regionale solo la più recente modalità di fruizione del catasto grotte, che trova la sua origine oltre un secolo fa.
Uno dei primi esempi di raccolta organizzata di dati su cavità carsiche risale al 1893; Edoardo Taucer pubblica sulla rivista “Atti e memorie” la scoperta di cinque nuove grotte avvenuta negli anni 1889 - 1892, allegando all’articolo una carta topografica redatta da Alessandro Tribel con la posizione degli ingressi di una ventina di ulteriori cavità del Carso triestino.
Per altri studiosi, invece, le prime tracce di un catasto ipogeo devono essere fatte risalire ad Eugenio Boegan con uno scritto apparso nel 1896 sul primo numero della rivista “Alpi Giulie” della Società Alpina delle Giulie dove delineava la concezione di un catasto grotte. Il lavoro del Boegan portò ben presto alla realizzazione di un primo Catasto, con il censimento e descrizione di 314 cavità numerate in successione crescente e affiancate dall’indicazione, benché in coordinate polari, della loro ubicazione. Completava la raccolta una carta topografica alla scala 1:75.000 con la restituzione grafica della posizione degli ingressi (Boegan E., “Elenco e carta topografica delle Grotte del Carso”, Stabilimento artistico tipografico – G. Caprin, 1907, Trieste)
Quasi contemporaneamente, analoghi elenchi compaiono anche per le cavità del Friuli.
Nel 1911, sulla rivista “Mondo sotterraneo”, edita dal Circolo Speleologico e Idrologico Friulano, viene pubblicato a firma di Giovanni Battista De Gasperi il “Catalogo delle grotte del Friuli” con la descrizione di 153 cavità.
Le scoperte proseguono fino a ridosso dello scoppio della prima Guerra Mondiale, portando il numero degli ipogei catastati nella Venezia Giulia a 430. Il periodo bellico naturalmente rallenta, se non interrompe del tutto, questa attività anche se proprio durante il conflitto l’esercito Austro Ungarico istituisce uno speciale ufficio, a capo del quale pone l’ingegner Bock, noto speleologo di Graz, con l’incarico di raccogliere dati e ricercare nuove cavità, anche se da adibire e utilizzare per soli scopi bellici.
Con la fine del conflitto, l’attività speleologica riprende con rinnovato vigore per giungere, nel 1924, alla realizzazione della scheda catastale sulla quale per la prima volta è indicato il termine “Catasto”.
E’ del 1926, invece, la pubblicazione del volume “Duemila grotte”, edito dal Touring Club Italiano e redatto da Luigi Vittorio Bertarelli, presidente del TCI, e da Eugenio Boegan, presidente della Commissione Grotte, volume che all’epoca rappresentava la raccolta più completa di dati sulle oltre 2.000 cavità conosciute nella Venezia Giulia.
L’opera di esplorazione e catalogazione prosegue incessante sino alle soglie del secondo conflitto mondiale, portando a circa 3.000 il numero delle cavità conosciute. La drammatica situazione italiana al termine del periodo bellico interrompe ogni tipo di attività speleologica ben oltre il 1945. Solo verso la metà degli anni ’50 riprendono le esplorazioni e l’attività di catalogazione.
A causa del ridisegno dei confini politici si pone il problema di rivedere il numero di cavità censite sul territorio del Friuli Venezia Giulia. Infatti, molte cavità prima comprese in territorio italiano cadono ora in terra ex yugoslava e devono perciò essere escluse dagli archivi. Ma non solo, perché analoghi problemi sorgono con le grotte del Friuli che, visti i nuovi limiti amministrativi, sconfinano nel vicino Veneto. Per oltre un decennio i gestori dei due catasti, Società Alpina delle Giulie per la Venezia Giulia e Circolo Speleologico e Idrologico Friulano per il Friuli, provvedono così a riorganizzare i dati accumulati, soprattutto verificando i dati relativi alle posizioni che possono ora avvantaggiarsi delle carte topografiche pubblicate dall’Istituto Geografico Militare in scala 1:25.000.
Con queste premesse si giunge così alla metà degli anni ’60 e alla promulgazione della Legge regionale 1 settembre 1966, n. 27 “Norme di integrazione della legge statale 29 giugno 1939, n. 1497, per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Friuli - Venezia Giulia” ponendo le basi per un riconoscimento giuridico delle grotte presenti sul territorio regionale. I due preesistenti catasti vengono riuniti in un unico archivio introducendo una nuova e univoca numerazione (numero regionale RE), alla quale per motivi storici vengono affiancate le precedenti sigle (VG per le cavità del catasto della Venezia Giulia, FR per quelle del Friuli).
Nuove tecniche di esplorazione e le moderne attrezzature hanno permesso negli ultimi 50 anni di avvicinare alla speleologia un numero sempre crescente di appassionati e ricercatori. In questo lasso di tempo, il catasto grotte è cresciuto fino ad oltre 8.000 cavità, portando altresì la regione in cima alla classifica italiana con il numero di associazioni e gruppi speleologici.
Tale crescita è stata accompagnata dalla gestione del catasto che, negli anni, è stata affidata dalla Regione alla Commissione grotte Eugenio Boegan del Cai, Società Alpina delle Giulie ed alla Federazione Speleologica Regionale.
Nel 2016 sulla base dell’articolo 9 della legge regionale 14 ottobre 2016, n. 15 “Disposizioni per la tutela e valorizzazione della geodiversità, del patrimonio geologico e speleologico e delle aree carsiche” la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia istituisce il Catasto speleologico regionale (CSR) che comprende, oltre alla sezione grotte, anche le cavità artificiali e le cavità turistiche, affidandone la gestione al Servizio geologico regionale