10 | Grotta dei Morti
Nomi e numeri catastali
Nome principale: Grotta dei Morti
Nome principale sloveno: Jama v Griži
Numero catasto: 10
Numero catasto locale: 15VG
Numero totale ingressi: 1
Ingresso principale
Data esecuzione posizione: 31/12/2000
Affidabilità posizione: 2º gruppo riposizionamento regionale GPS (2000)
Presenza targhetta: Si Area geografica: Carso Triestino Comune: Trieste Area provinciale: Trieste Metodo rilevamento: STRUMENTALE -> GPS differenziale Lat. WGS84: 45,65472905 Lon. WGS84: 13,82049346 Est RDN2008/UTM 33N: 408101.807 Nord RDN2008/UTM 33N: 5056363.2 Quota ingresso: 325 m
Caratteristiche
Sviluppo planimetrico: 107 m
Profondità: 254 m
Dislivello totale: 254 m
Quota fondo: 71 m
Descrizione dei vani interni della cavità
Con il ritrovamento del Timavo sotterraneo nella grotta di Trebiciano, il problema del rifornimento idrico di Trieste era rimasto insoluto e, durante i periodi di siccità, la popolazione continuava a sopportare notevoli disagi. Nel dicembre del 1861 l'arciduca Massimiliano, che risiedeva a quel tempo nella città ed al quale la situazione era ben manifesta, invitò, di sua iniziativa, l'abate francese Richard, noto rabdomante e geologo, ad effettuare delle ricerche sul territorio circostante: tra le conclusioni che lo studioso riportò nella sua relazione si rilevava che il fiume doveva scorrere lungo il margine dell'altipiano, a poca distanza dalla città. Il Consiglio Municipale deliberò allora lo stanziamento di duemila fiorini per la ripresa delle indagini sul Carso e venne presa anzitutto in esame la Caverna sul Monte Spaccato, perché più vicina all'abitato e già nota ai locali per le correnti d'aria che ne scaturivano in certe occasioni.
I lavori iniziarono nel febbraio del 1862, sotto la direzione degli ingegneri Vallon e De Rin, e si procedette rimuovendo ostruzioni detritiche e forzando con le mine molti passaggi impraticabili. Un anno più tardi si raggiunse la profondità di 243 metri, ma qui l'avanzata subì un brusco rallentamento a causa delle difficoltà incontrate: i materiali dovevano essere sollevati per lungo tratto in sacchi di cuoio e sistemati precariamente negli anfratti di un grande pozzo inclinato nel quale l'aria, quasi irrespirabile, rendeva ancora più penoso il compito degli operai.
Nell'ottobre dello stesso anno (1863) si incontrò, a 245 metri, una fessura obliqua, all'estremità della quale venne scavata una galleria discendente, in fondo alla quale si udiva, da un pertugio angustissimo, un lontano stillicidio ed altri rumori; a tratti veniva inoltre avvertita una pulsazione dell'aria attraverso l'orifizio, per cui si ebbe la certezza di essere prossimi a vani più spaziosi.
A dare la conferma di poter raggiungere un bacino sotterraneo venne il fatto che per tre volte la galleria fu allagata da un metro d'acqua, che ritirandosi lasciò un deposito di sabbia.
Nel maggio del 1864, raggiunta la profondità di 254 metri, si dovette convenire che ogni ulteriore progresso era impossibile, soprattutto a motivo della scarsità di ossigeno che causava lo spegnimento dei lumi per cui, dopo 34 mesi dall'inizio, lo scavo venne sospeso in attesa di risolvere il problema della ventilazione. Si pensò allora di effettuare un estremo tentativo con una grande mina, nella speranza di aprire un varco e, dopo molte perplessità e consultazioni di esperti, si decise d'impiegare una colossale carica di 400 funti di polvere. Trascorso ancora un anno nel disbrigo delle pratiche burocratiche necessarie ad ottenere il materiale,
il 28 ottobre 1866 venne trasmessa la scintilla elettrica per l'accensione, ma all'esterno della grotta ed in altre cavità carsiche, dove erano state poste delle vedette, non si avvertì alcun rimbombo.
Gli operai Andrea Fernetich e Luca ed Antonio Krall, scettici del funzionamento del misterioso strumento e convinti che l'esperimento fosse fallito, vollero scendere nell'abisso dopo 45 minuti, malgrado il parere contrario e le discussioni degli astanti; qualche tempo dopo, allarmati per la loro sorte, si calarono un pompiere ed un altro operaio, trovando a 130 metri il gas dell'esplosione ed il cadavere di uno dei tre sventurati.
La magistratura avviò un'inchiesta sull'incidente e, ad interdire l'accesso alla cavità, venne messo un guardiano, ma il giorno 8 novembre si accinsero alla discesa quattro villici di Corgnale, seguiti dal malaccorto custode Matteo Krall. Giunti appena a 70 metri, l'alterazione dell'acqua di calce che avevano portato seco rivelò la presenza del gas, inducendoli a precipitosa fuga. Al Krall vennero però meno le forze e, dopo un disperato tentativo di trascinarlo verso la salvezza, si dovette abbandonarlo al suo atroce destino.
La nuova tragedia indusse i responsabili dei lavori ad abbandonare il progetto, rinunciando altresì al recupero delle quattro salme. Onde evitare altre disgrazie l'ingresso venne chiuso e da allora la voce popolare indicò la cavità con il nome di "grotta dei Morti".
Successivamente vennero fatti due tentativi di raggiungere il fondo dell'abisso e conoscere l'esito della mina. Nel 1894 il Club Touristi Triestini, ignorando la proibizione delle autorità municipali, che avevano dato in precedenza il permesso alla Società Alpina delle Giulie, visitò nuovamente la grotta rinvenendo i resti delle vittime, al recupero delle quali il civico magistrato pose divieto. Il crollo di parte dei detriti ammassati lungo l'ultimo pozzo aveva però ostruito il passaggio, così la galleria finale non venne raggiunta.
Nel 1957 il Gruppo Grotte "Carlo Debeljak" intraprese a sua volta l'esplorazione dell'abisso, che fu preceduta da un lungo lavoro di disostruzione alla base del primo pozzo: in sei mesi di lavoro vennero estratte oltre 80 tonnellate di pietrame ed altri materiali, rendendo nuovamente praticabili altri passaggi, senza poter tuttavia superare il limite del C.T.T.
Appare peraltro improbabile che i restanti 36 metri della cavità siano completamente intasati, in quanto i vecchi terrapieni, pur pericolanti, non hanno ancora ceduto: è quindi da ritenere che il pozzo sia ostruito per qualche metro in prossimità di una strozzatura, ma la difficoltà di sistemare il materiale e la constatata scarsità di ossigeno, che si manifesta dopo poche ore, hanno sconsigliato ogni altro tentativo di scavo.
I lavori nella grotta dei Morti costituiscono un capitolo luminoso e straordinario nella storia della speleologia, soprattutto in relazione all'epoca in cui vennero effettuati. L'indagine sotterranea era ancora limitata alle iniziative di pochi audaci precursori, mentre l'esplorazione e lo studio sistematico delle cavità naturali sarebbero iniziati appena vent'anni dopo. Va quindi tributato un doveroso riconoscimento agli operai-minatori che per quasi tre anni lavorarono nelle profondità della grotta con gli scarsi sussidi tecnici del tempo. Tuttavia le opere da loro costruite oltre cent'anni fa sono ancora là a testimoniare la perizia e l'ingegno di questi villici che, compresi dell'importanza del progetto ed ansiosi a loro volta di strappare all'abisso il suo segreto, vi si precipitarono dopo lo scoppio, ignorando per una volta i limiti della prudenza, fino a quel momento rispettati, e trovando misera morte. Le loro ossa sono ancora sparse lungo i ripiani della cavità e nessuna lapide ne ricorda i nomi, davvero meritevoli di memoria.